I MECCANISMI DI DIFESA. FORMA E FUNZIONI DELL'APPARATO PSICHICO

Secondo la concezione metapsicologica di Freud l’apparato psichico è formato da tre istanze nette e ben distinguibili che continuamente, durante l’intero arco della vita umana, lottano e si alleano tra di loro e con la realtà esterna all’individuo al fine di una reciproca tolleranza e integrazione.

 

L’ES

L’Es è l’istanza psichica che nasce con noi e che riunisce ogni impulso istintuale esistente nella natura umana, principalmente la pulsione sessuale e quella aggressiva. L’Es segue la legge del piacere per ottenere gratificazione alla carica che possiede e che produce tensione nell’individuo, tensione che egli tenta continuamente di eliminare o almeno ridurre al minimo in quanto fonte di sofferenza. A questo scopo l’Es preme sull’Io al fine di indurlo a soddisfare i suoi bisogni. Quello dell’Es è il regno dell’Inconscio: solo attraverso la pressione delle pulsioni sappiamo della sua esistenza.

IL SUPER-IO

È questa la parte della struttura psichica che si forma relativamente più tardi. Il Super-io è l’interiorizzazione di tutte le norme e i divieti provenienti al bambino dal mondo esterno e dall’educazione impartitagli principalmente dai genitori, ma anche da altre figure importanti che gli ruotano intorno. Esso si forma nell’epoca della vita che va dai tre ai sei anni: la morale parentale, vista dal bambino sempre più severa e inflessibile di quanto essa effettivamente sia, lentamente si deposita nell’individuo diventandone la coscienza morale.

È così che l’uomo si comporta in modo sempre coerente anche quando non è presente alcun altro giudice che se stesso. In genere il Super-io conserva sempre tracce della rigidità vendicativa e punitiva che il bambino vedeva negli educatori, benché nell’adolescenza compia il tentativo di ribellarsi riorganizzando la sua morale in forma più matura ed elastica. Anche questa istanza, come l’Es, preme sull’Io affinché le sua leggi siano rispettate.

L’IO

Spinto, trattenuto, rimproverato, soggetto alla obiettività delle leggi della realtà (con la quale pure è costretto a fare i conti essendone a diretto contatto), l’Io si trova a fare la parte del classico vaso di coccio di manzoniana memoria. Ciascuna delle istanze psichiche vorrebbe che esso mettesse a sua disposizione le numerose capacità che gli appartengono affinché leggi e bisogni fossero rispettati.

La memoria, l’intelligenza, il pensiero, e molte altre, sono le funzioni che l’Io possiede per realizzare, controllare e coordinare le varie esigenze dell'’essere umano seguendo il principio di realtà che gli è proprio. Ma nonostante le sue numerose doti spesso l’Io corre il rischio di essere schiacciato e disintegrato da tanti bisogni contraddittori. Solo una difesa adeguata, appresa nel corso degli anni, e una crescente maturità, gli consentono di conservare la propria integrità. Allorché uno stato di tensione spasmodica dovuta a fattori interni o esterni all’individuo (l’angoscia, la paura o un altro degli affetti di segnale: la depressione, il senso di colpa, la vergogna) avverte l’Io che sta per divampare un qualche conflitto tra le varie istanze, automaticamente e in modo inconscio scattano diversi meccanismi di difesa, tendenti di volta in volta a proibire l’accesso alla coscienza a qualche impulso ritenuto pericoloso, a esprimerlo parzialmente sotto altre forme, a trasformarlo in modo tale che il giudizio altrui lo accetti, a negare ciò che di insopportabile vi è nel mondo esterno, o comunque a stabilire un compromesso che assicuri la coesistenza pacifica delle tre istanze individuali e un loro adattamento valido alla realtà.

I meccanismi di difesa, presenti in ogni individuo, assumono carattere patologico quando massima parte delle energie libidiche è impegnata a mantenere intatta quella che Reich chiama la ‘corazza caratteriale’. Al pari, sono identici in ognuno ma variano le modalità con le quali ciascuno li agisce. Il primo tentativo che l’Io compie per risolvere il conflitto è sempre quello di rimuovere gli impulsi interni pericolosi e di negare quelli esterni; quando queste difese preliminare falliscono per vari motivi esso deve ricorrere a mezzi di difesa più sottili che consentano comunque una parziale espressione dell'impulso. Segue la descrizione di una difesa molto primitiva, la negazione, per meglio comprendere i meccanismi di difesa psicologica.

LA NEGAZIONE

Laplance e Pontalis credono di poter distinguere de usi diversi che l’individuo fa della negazione secondo la descrizione di Freud, ma essi stessi ammettono che nella letteratura psicoanalitica non sempre tale distinzione è presa in considerazione. Per questi autori Freud distinguerebbe tra negazione (Verneinung) e diniego (Verleugnen) e li userebbe secondo che l’Io neghi pensieri, desideri e sentimenti (che pure gli appartengono e che manifesta come propri per altre vie) o che esprima diniego verso la percezione di una realtà esterna che gli appare troppo dolorosa.

In ogni modo il diniego o negazione è il corrispondente psichico di ciò che è la costante vigilanza che l’Io mantiene verso la realtà interna. Infatti la differenza tra rimozione e negazione sta proprio nel fatto che mentre la prima serve ad eliminare dalla coscienza un impulso interno sentito come insopportabile, la seconda esclude dalla consapevolezza quello che nel mondo esterno viene percepito come  pericoloso o doloroso per l’Io.

L’individuo che tra i meccanismi di difesa sceglie in modo preferenziale la negazione richiama alla mente l’immagine dello struzzo che di fronte al pericolo infila “prudentemente” la testa nella sabbia. Visto che un dato meccanismo è il solo possibile adattamento valido che l’individuo può mettere in atto in quel determinato momento, ne consegue che di fronte ad una realtà pericolosa l’unica soluzione è chiudere gli occhi e possibilmente sognare. In quanto è un fenomeno automatico e involontario, possiamo annoverarlo tra i meccanismi di difesa anziché tra le menzogne.

La negazione e l’angoscia del reale

L’uso della negazione è una delle difese più primitive che l’uomo sperimenti. Essa, insieme alla proiezione e all’identificazione, compare già durante la fase orale, quindi nei primi diciotto mesi di vita. Questi modi di difesa, infatti, sono maggiormente compatibili con il pensiero magico e animistico proprio di quest’età e con l’Io tanto immaturo del bambino piccolo, Io che da poco inizia a differenziarsi dall’Es essendone quella parte più direttamente a contatto con il mondo esterno e con l’azione educativa che, per il momento, è l’unica protezione per il bambino dal prorompere troppo tumultuoso degli istinti. 

Il suo Io non possiede i mezzi per difendersi di fronte a realtà troppo più grandi di lui. Che altro può fare se non fantasticare di essere lui il forte e coraggioso domatore di un feroce leone che obbedisce ai suoi comandi? Anna Freud ci illustra chiaramente questo tipo di negazione che avviene mediante fantasie compensatorie e ci dà anche molti esempi di negazioni che avvengono invece tramite parole o atti, come quello del bambino che afferma, torcendo la bocca, che la medicina tanto amara “gli piace molto”, come gli ha suggerito la sua bambinaia. Ed in effetti l’autrice ci mostra come anche gli adulti si adattino al pensiero del bambino negando insieme a lui realtà dolorose proprio per aiutare il troppo debole Io infantile: siamo nel periodo in cui esso sarebbe ben contento di soddisfare le spinte istintuali secondo il proprio principio del piacere; è solo la realtà esterna che glielo impedisce. A quest’età dunque la negazione è un fenomeno del tutto normale, in quanto il bambino è sempre in grado di rientrare prontamente nel reale.

L’adulto e la negazione

Questo procedimento, appreso dall’Io in un’età così precoce, continua poi ad essere usato anche nell’età adulta con le stesse modalità e di fronte agli stessi pericoli. Ad ognuno di noi sarà capitato talvolta di trovarsi di fronte a negazioni proprie o altrui, ma il riconoscerle come tali subito o poco dopo ci permette di includerci nella categoria della normalità. Infatti in questi casi il meccanismo di difesa è solo un mezzo di adattamento alla realtà, possibile anche all’Io più maturo.

Molte volte, fallito il primo tentativo di escludere la realtà (compiuto con la negazione) si fa ricorso alla razionalizzazione per permettere al proprio Io di sentirsi ancora integro. Diverse volte, tuttavia, troviamo che la negazione precede un altro meccanismo di difesa: è il caso della proiezione (sempre preceduta da un diniego) o dell'identificazione con l’aggressore, dove la persona nega dapprima di essere in realtà l’aggredito.

La negazione nelle espressioni patologiche

Un esempio di negazione un po’ meno adattivo rispetto al reale e più vicino al patologico è quello di una persona che, ormai prossima alla morte a causa di un male incurabile, dà con molta calma disposizioni circa i propri funerali nello stesso momento in cui fa progetti rispetto al futuro. In età adulta una negazione troppo massiccia non può più dirsi un fenomeno di adattamento alla realtà. Diventando una vera e propria fuga dal reale, essa rientra nel territorio della patologia. 

Il diniego è quindi alla base di alcune gravissime patologie mentali. Infatti, anche se l’adulto può trovare sollievo e gratificazione tramite le fantasie o i sogni ad occhi aperti, non investe quasi mai questi prodotti di eccessiva energia. Quando lo fa, gratificando un impulso istintuale tramite l’attività allucinatoria, ci troviamo immancabilmente di fronte ad una psicosi, dove i rapporti tra l’Io e la realtà sono profondamente disturbati. Le principali malattie mentali dove troviamo un impiego patologico del diniego sono i disturbi maniacali e le sindromi schizofreniche. Nel primo caso il malato reagisce ad una perdita, come nella depressione. Invece di abbattersi, più semplicemente nega la perdita stessa e si esalta fantasticando l’effetto opposto. Egli vive in uno stato di trionfo e di ottimismo: gli insuccessi si trasformano in grandiosi progetti, l’impotenza in onnipotenza, e così via, in un crescendo di negazioni sempre più pesanti. Anche nella schizofrenia è presente la negazione allorché il malato non riconosce la realtà attraverso una alterazione delle percezioni o del pensiero (stati allucinatori o deliranti). 

Il diniego nella cura psicoterapeutica 

Secondo Freud nel corso di una psicoterapia spesso parole come “non ci pensavo, non ci avevo mai pensato” segnalano all’analista la presa di coscienza del rimosso. Inoltre il diniego talvolta indica una conferma quando viene opposto ad una interpretazione. Ma egli stesso mette in guardia contro il pericolo che in questo modo il terapeuta ha praticamente sempre ragione e consiglia di non essere troppo rigidi, guardando invece globalmente all’evolversi della cura.

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