Il concetto di rete: l'uomo come animale sociale.

Osservazioni su alcuni aspetti dell’opera di SIEGMUND H. FOULKES

Intorno agli anni quaranta dalla Psicoanalisi e dalla ricerca ricca e prolifica di prese di coscienza che avevano rivoluzionato il concetto che l'uomo aveva di se stesso nacque un nuovo modo di fare terapia che il suo ideatore, S. H. Foulkes, denominò "Terapia gruppoanalitica". Egli, un aspirante psichiatra che per caso aveva scoperto Freud, fu il primo a rivolgere l'attenzione all'analisi di gruppo e a proporla come importante fattore terapeutico. Dopo essere stato analizzato e aver cominciato a lavorare come psicoanalista, iniziò a pensare al gruppo e al lavoro di gruppo intorno al 1925, quando alcuni articoli di Trigant Burrow su un'esperienza fatta da un determinato numero di analisti (che si riunivano per confrontarsi) lo incuriosì e stimolò a tal punto che la terapia di gruppo divenne, grazie ai suoi studi, un importante e moderno strumento terapeutico. 

 

Ideata da uno psicoanalista pienamente convinto delle teorie metapsicologiche formulate da Freud, la terapia gruppoanalitica acquistò, man mano che l'esperienza procedeva, una fisionomia peculiare rispetto alla psicoanalisi classica. Questa postula infatti che l'uomo sia il frutto di un'intensa serie di rapporti che il bambino ha vissuto all'interno della sua famiglia di origine. Foulkes riconosce, oltre a questo, che l'uomo è un essere destinato a vivere in mezzo agli altri e che, in quanto tale, è anche il frutto di tutte le interazioni di rapporti che si sono svolti intorno a lui e con lui nel gruppo sociale in cui è cresciuto. Partendo da questi presupposti Foulkes tentò di sviluppare un tipo di terapia in cui la persona, abituata ad un rapporto sociale sbagliato, potesse riprodurre il proprio modo di essere e di rapportarsi e avere la possibilità di modificarlo. 

La gruppoanalisi è una forma di terapia che il gruppo stesso pratica su di sé e sui suoi membri, compreso il conduttore. Della psicoanalisi essa conserva il lavoro sul transfert attraverso le interpretazioni e l'associazione libera di gruppo (il corrispettivo della libera associazione richiesta nella psicoanalisi). La comunicazione tra i membri del gruppo avviene liberamente, senza le solite censure sociali e senza alcun obbligo di ordine logico. Ciascuno può intervenire, anche con argomenti del tutto diversi da quelli di cui si sta discutendo. 

Nel gruppo l'individuo ha la possibilità dì ricreare, attraverso il transfert e la proiezione, tutta la gamma di relazioni interpersonali e intrapersonali che conosce: la madre, il padre, i fratelli; il capoufficio, il  coinquilino, l'amica; la propria parte maschile e quella femminile; il sadismo e il masochismo; la creatività; la seduttività; la possessività; ... Tutti personaggi che nello spazio protetto del gruppo possono assumere vita reale, essere osservati e riconosciuti, accettati e integrati nella propria personalità o rifiutati come modi ormai inutili e sorpassati di essere. 

È impossibile  pensare il disagio o la malattia mentale come qualcosa a sé stante dalle oscure origini. Ormai è noto come ogni patologia psichica trovi sempre le radici nella complessa situazione di  rapporti e di intrecci che si sviluppano all'interno di un gruppo sociale di cui l'individuo malato è solo il punto più fragile che ha ceduto. Ricreandosi la stessa situazione in un gruppo terapeutico i componenti stessi del gruppo sono portati ad intervenire per correggere ciò che fa star male e indirizzare verso soluzioni nuove e più creative. Normalmente ciò è permesso dal clima di particolare tolleranza e libertà in cui il paziente può esprimere i propri pensieri, le emozioni, i vissuti che altrimenti terrebbe gelosamente nascosti. Questa situazione viene definita da Foulkes "situazione T, rappresentata dalla formula T= tr + X ovvero la situazione terapeutica (T) è composta dai rapporti di transfert (tr) più altri fattori che intervengono nello svolgersi della vita di un gruppo. Attraverso questa situazione l'individuo riesce a stabilire all'interno del gruppo una parte della rete a cui appartiene, ovvero il gruppo sociale di cui fa parte. 

Di norma una persona appartiene a molte reti interdipendenti tra di loro, a molti insiemi di esseri umani, i quali formano i punti della rete e reagiscono ad uno stimolo come fossero un tutto. Foulkes riprese il concetto di rete da Kúrt Goldenstein, un neurobiologo suo maestro, che lo aveva usato a proposito del sistema nervoso. Infatti secondo questo studioso il sistema nervoso può essere meglio compreso se viene considerato non come una somma di neuroni individuali, ma come un insieme che risponde contemporaneamente ad uno stimolo. Ogni stimolazione mette in moto l’intera rete. In questo insieme chiamato rete ogni singola cellula nervosa è un punto nodale. Allo stesso modo funziona anche un sistema di persone legate tra loro da una reazione comune: ogni singolo è un punto nodale della rete. 

Ogni persona appartiene a più reti, che il soggetto tiene rigorosamente separate tra loro o continuamente fa interagire. Gioca in questo la storia individuale di ognuno e la coazione a ripetere. Il punto della rete che maggiormente si stringe intorno al paziente può essere chiamato complexus oppure abbreviato in plexus e comprende essenzialmente la famiglia di origine, cioè il piccolo nucleo di persone che ha avuto il ruolo principale per l’insorgere del disturbo del paziente e che è in grado di impedirne una soluzione. Le persone che costituiscono il gruppo terapeutico sono tutte insieme una rete, che viene designata con un nome specifico: la matrice. Essa fa da “sfondo” ai singoli eventi della vita del gruppo che potremmo definire le “figure”. 

Possiamo quindi affermare che il concetto di rete applicato alla terapia apporta una grande novità,  sottolineando la notevole incidenza che possiede sul soggetto il rapporto che questi intrattiene con le persone della sua rete di relazioni e soprattutto del suo plesso, insieme alle quali unitamente reagisce alle stimolazioni. Risulta così che la persona disturbata è solo il punto debole dell’insieme, quello che ha ceduto e di cui il gruppo ha bisogno per proiettare i propri nuclei interni rifiutati: la propria colpa, il proprio odio, la propria debolezza, ecc. Di solito non solo la famiglia non fa nulla per alleviare la tensione del malato, ma anzi la aggrava, accettando di dare una risposta ad una richiesta attuata con mezzi di comunicazione errati. 

Al plexus di un paziente possono appartenere persone del suo passato (che ormai, quindi, fanno parte del suo mondo interno) e persone della sua realtà attuale. Ciò che conta è rilevare che ognuna di esse, fantasma introiettato o entità reale, ha avuto un grande significato nella vita del paziente e nel momento in cui questi intende sottrarsi al ruolo che riveste all'interno del plexus, tutto il nucleo si oppone al cambiamento, perché questo costringe anche chi non è in analisi a rivedere le proprie posizioni e a mutare uno stile dì vita che non trova più la sua valvola di sfogo nel sintomo vistoso del malato.

La terapia di gruppo crea un plexus artificiale, la matrice, in cui ogni individuo può ritrovare il gruppo di origine attraverso i fenomeni del transfert. All'interno del gruppo è in grado di elaborare i rapporti e le interazioni e di modificarli per poi divenire il punto nodale rinnovato rispetto al quale l'intera rete dovrà trovare una risposta nuova. I cambiamenti del paziente e della rete non avvengono mai in modo univoco. Secondo Foulkes il paziente cambia nel momento in cui si modificano i rapporti all'interno di tutta la rete. Naturalmente nel momento in cui entra nel gruppo, il paziente conosce esclusivamente il proprio modo di rapportarsi e tenta di introdurlo insieme alla propria nevrosi. 

Ora, però, la risposta è diversa rispetto a quella del suo plesso reale. Un gruppo diventa una rete dinamica, ma è originale rispetto al vissuto del singolo individuo che la compone. In un mondo più flessibile e non strutturato dalle rigide regole a cui è abituata, la persona si scopre e scopre che può comunicare in un modo nuovo con altre persone. Spinto dal bisogno di comprendere e farsi comprendere da esseri abituati ad un linguaggio diverso dal suo, adotta nuove tattiche, nuove strategie di attacco e di difesa. Va in fondo al linguaggio autistico dei sintomi o impara a comunicare in modo più emotivo. Osservando gli altri scopre nuovi modi di esistere. Specchiandosi in essi vede riflesse parti di sé rinnegate o sconosciute, splendori e miserie del suo mondo sommerso con i quali dovrà imparare a convivere.

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