Con il coraggio che lo distinse nello svolgimento di tutta la sua opera, nel 1919 Freud si accinse a compiere una nuova ed importante revisione di un aspetto della sua metapsicologia che fino ad allora egli aveva sostenuto con molto vigore. Attraverso il contatto e lo studio delle nevrosi si era reso conto di come nell'uomo agisse una forza prorompente che lo spingeva continuamente verso la vita. Egli chiamò questa forza libido e presuppose che l'apparato psichico tendesse comunque e sempre al piacere, inteso come lo scarico più immediato possibile delle tensioni, affinché l'organismo tornasse ad uno stato di quiete.
Nell'INTERPRETAZIONE dei SOGNI aveva avuto modo di dimostrare che perfino gli incubi notturni e i sogni d'angoscia obbediscono al principio del piacere. Ma ulteriori studi ed osservazioni cliniche lo pongono continuamente di fronte a fenomeni che non rientrano agevolmente in questo schema. Uno di essi, che denomina coazione a ripetere, sembra esularne in modo totale e agire del tutto indipendentemente dal principio del piacere.
Freud scopre infatti che i pazienti in analisi tendono a riprodurre, in modo infinito, le situazioni traumatiche della loro infanzia, pur sperimentando così un continuo dolore. Dopo un anno, testimonianza del lungo travaglio che la nuova opera ha richiesto, finalmente nel 1920 pubblica, in AL DI LA' DEL PRINCIPIO DEL PIACERE, ciò che ha scoperto.
Egli sostiene ora che accanto all'istinto di vita (pulsione di autoconservazione, pulsione sessuale, ecc.) esiste nell'uomo un istinto di morte, che sembra tendere a riportare la materia allo stato inorganico. Non si spiegano diversamente le malattie a volte molto gravi, la predisposizione al suicidio dei malinconici, la tendenza ad incorrere in incidenti di vario tipo specialmente evidente in alcuni individui, la coazione a ripetere. Tutto ciò sembra indicare chiaramente l'esistenza di un impulso, che tende all'autodistruzione.
L'uomo è dunque per Freud continuamente diviso tra una tendenza verso la vita (l'Eros) e una tendenza verso la morte ( il Thanatos). Questa tensione è insopportabile per l'Io ancora immaturo del bambino, che pertanto attiva una prima drammatica difesa: la deflessione all'esterno degli istinti. È in questo primo passo che troviamo le radici fondamentali dell'amore e dell'odio.
Assumendo in pieno la teoria di Freud circa la polarità degli istinti, Melanie Klein fa tuttavia un passo avanti sulla strada della comprensione dei sentimenti dei primissimi mesi di vita. Ella sostiene che la deflessione consiste in parte in una proiezione e in parte nella conversione dell'istinto di morte in aggressività. Esso viene messo nel mondo esterno (che in quest'epoca della vita è totalmente rappresentato dal seno della madre), vissuto come persecutore e come tale temuto e odiato. La mammella, che frustra il bambino non offrendogli un immediato scarico della tensione, si adatta bene a raccogliere la proiezione e così costituisce il primo nucleo di quello che in seguito diventerà il Super-io. Questo primo Super-io materno ovviamente risente della particolare qualità del sentimento che lo ha prodotto. Esso ha i connotati terribili e crudeli della pulsione pura, non avendo ancora avuto modo il neonato di mitigare le immagini interne attraverso il confronto con quelle esterne.
Lo stesso processo che abbiamo descritto per l'istinto di morte avviene identicamente per l'istinto di vita. Anche l'amore è proiettato in parte su un oggetto esterno e in parte si trasforma in capacità di desiderarlo e ancora una volta non può essere altro che il seno della madre a raccogliere i sentimenti del piccolo.
Per il neonato si creano due prototipi di tutto ciò che in seguito verrà riconosciuto come buono o cattivo: il seno cattivo, che frustra; il seno buono, sede di tutte le bontà, che è identificato dal bambino con il seno che lo gratifica. Quest'ultimo è introiettato come oggetto buono interno e protegge dal persecutore.
Infatti l'angoscia predominante in questo periodo è che il persecutore annienti il sé e l'oggetto buono; per non sentirla, può accadere che l'Io preferisca disintegrarsi in tanti piccoli pezzi. Questi frammenti vengono proiettati nell'oggetto, disintegrandolo a sua volta. Così per difendersi dall'eccessivo odio e dall'invidia verso il seno, Il bambino tenta di distruggere sia il mondo esterno, sia l'apparato che lo percepisce, anche se questo tipo di difesa primitiva diventa in seguito patologica perché è ad essa che regredisce l'individuo il quale durante una malattia psichiatrica presenta il sintomo della disintegrazione dell'Io. Non essendovi stata una sana scissione tra oggetto buono e oggetto cattivo, scissione che prelude alla successiva integrazione, si crea un circolo vizioso: la realtà viene percepita come divisa in una moltitudine di pezzetti, ognuno dei quali contiene un persecutore ostile all'Io, con il risultato che l'angoscia aumenta.
Accanto a queste difese dall'odio che l'Io mette in atto e che possono risultare gravemente dannose per la sua integrità, può accadere che anche l'ambiente esterno non offra al bambino un valido sostegno affinché egli possa con il tempo passare all'unificazione e dell'Io e dell'oggetto in quella che la Klein chiama posizione depressiva.
Mi riferisco in modo particolare a problemi della madre che interferiscono in modo massiccio con lo sviluppo primitivo del bambino. Una madre troppo ansiosa o che rifiuti chiaramente o inconsciamente il figlio, certo non sarà una buona nutrice. Ma quello che mi preme sottolineare è la difficoltà che può incontrare il bambino nel cammino verso la fusione delle pulsioni quando di fronte ha una madre con gravi problemi psichiatrici.
Spizt dimostra che una donna la quale abbia rapidi sbalzi d'umore o una che alterni fasi depressive a fasi di mania impediscono in misura diversa al bambino di percepirla come unica e pertanto di vivere in modo corretto questa tappa fondamentale dello sviluppo. A questo neonato manca praticamente il riscontro nella realtà di una madre coerente che si presenti a lui sempre uguale a se stessa, in modo che piano piano il bambino immagazzini il ricordo e possa confrontarlo con la nuova immagine che ha di fronte, indipendentemente dai sentimenti che prova.: "... il bambino si accosta al seno in stato di eccitazione, e pronto a percepire in modo allucinatorio qualcosa suscettibile d'essere attaccato. In quel momento il capezzolo reale appare, ed il bambino può sentire che quel capezzolo era l'oggetto della sua esperienza allucinatoria. Così le sue idee si arricchiscono di particolari reali che gli giungono attraverso la vista, il tatto, l'odorato; e, la volta successiva, userà questo materiale per un'altra esperienza allucinatoria. In questo modo incomincia a formarsi la capacità di far apparire, di evocare, ciò che è effettivamente disponibile. Bisogna che la madre continui a dare al bambino questo tipo di esperienza. Il processo si semplifica enormemente se le cure vengono prodigate al bambino da un'unica persona e secondo un'unica tecnica; è proprio come se il bambino fosse proprio destinato ad essere, fin dalla nascita, oggetto delle cure della propria madre od in sua assenza, di una madre adottiva, e non di varie nutrici. È soprattutto all'inizio che la madre ha un ruolo d'importanza vitale, ed è in realtà compito suo quello di proteggere il bambino dalle complicazioni che non possono essere ancora comprese dal bambino piccolo, e di continuare ad offrirgli quella piccola, semplice parte del mondo che il bambino, attraverso di lei, riesce a conoscere. E' soltanto su questa base che possono nascere l'oggettività e l'atteggiamento scientifico. Qualsiasi difetto d'oggettività, a qualsiasi epoca, si ricollega ad un difetto di questo stadio dello sviluppo emozionale primario. Soltanto fondandosi sulla monotonia può una madre arricchire il mondo del bambino."
Offrire al bambino immagini e situazioni diverse significa creare il terreno adatto perché egli mantenga in vita la scissione tra l'odio e l'amore, anche quando questo non ricada necessariamente nell'ambito di una patologia psicotica. Vivendo nella molteplicità l'Io resta confuso e non è stimolato sufficientemente ad integrare se stesso né a fondere le sue pulsioni. Infatti fra i tre e i sei mesi di vita gradatamente il bambino normale riesce a riunire in un'unica immagine psichica il seno buono e il seno cattivo e a percepire la madre come oggetto totale.
A quest'età ha avuto modo di fare sufficienti esperienze per ricordare la madre anche quando questa è assente e pertanto compaiono in lui i sentimenti depressivi, ossia il lutto e la colpa di aver distrutto il proprio oggetto d'amore. Il neonato vive una duplice preoccupazione: quella di non trovare più la madre quando ne ha bisogno e contemporaneamente la preoccupazione verso la madre che egli ama intensamente.
In questo momento della crescita l'Io si difende con meccanismi tipici, che gli impediscono di raggiungere la consapevolezza della propria colpa. Egli può regredire ai precedenti meccanismi schizoidi o adottarne di nuovi, di tipo maniacale. Lo scopo della difesa maniacale è quello di negare la dipendenza dalla madre, per cui il bambino tende a capovolgere o negare il rapporto con il proprio oggetto.
La paura di scoprire l'ambivalenza verso l'oggetto d'amore può portare addirittura ad intensificare l'odio, in modo tale che in apparenza questo è l'unico sentimento che il soggetto prova proprio verso chi teme di perdere. Sostanzialmente la difesa maniacale viene attuata dominando, trionfando o disprezzando 1'oggetto d'amore. In questo modo esso viene fortemente svalutato e si attenuano i sentimenti di colpa e la paura di perderlo.
Come Freud ci ha insegnato, la differenza tra normalità e malattia non consiste nella qualità ma nella quantità. Sia l'odio, sia la difesa dall'odio sono presenti in ogni bambino e in ogni adulto. Quello che differisce notevolmente in un individuo malato è l'intensità sia del sentimento che prova che della modalità difensiva che adotta.
Abbiamo già ricordato come la disintegrazione della personalità si rifaccia ad un tipo di difesa già sperimentato nella primissima infanzia, quando l'individuo tenta di negare la realtà disintegrando l'Io che la percepisce.
La schizofrenia paranoide adotta un'altra strategia: l’odio e il sentimento di colpa che ne derivano vengono proiettati all'esterno e condannati; la deflessione della colpa comporta la persecuzione e l'uccisione degli altri. Naturalmente questo tipo di difesa non è propria solo di gravissime patologie, ma possiamo trovarla con varie sfumature anche nell'ambito di personalità clinicamente definite normali. A livello sociale possiamo vedere nello stato di guerra la stessa modalità schizoide di negare la colpa: l'odio viene proiettato sul nemico, da cui ci si difende fino al suo totale sterminio. Altro esempio può essere il fenomeno del razzismo e della persecuzione verso tutte le minoranze etniche.
Questa linea di difesa presuppone una totale incapacità di sopportare la consapevolezza del proprie sentimento di odio troppo intenso.
Esiste però un diverso meccanismo che l'Io adotta per proteggersi dalla colpa. Essa viene sentita, ma non più come rivolta verso l'esterno, sull'oggetto d'amore. L'aggressività si riversa su una parte dell'Io, facendolo soffrire. Anche qui l'individuo non è capace di sopportare l'odio e la consapevolezza di aver distrutto la madre amata. Questa è una difesa adottata in modo massivo nelle depressioni di tipo psicotico, nella melanconia e nel lutto patologico, ma possiamo vederla espressa con modalità socialmente accettate anche da individui in cui non è presente una regressione di tipo ideativo.
La soluzione al problema dell'odio, che, come abbiamo visto, è di fondamentale importanza nella vita dell'uomo, avviene nel momento in cui questi è capace di raggiungere felicemente la posizione depressiva. Il bambino può ora sentire se stesso come intero e la madre come oggetto totale ed è in questo preciso momento che inizia a preoccuparsi per lei e per se stesso e a mettere in atto la propria capacità riparatoria.
Ciò che mi sembra importante sottolineare è che l'odio della fase preedipica, ancor più dannosamente che quello edipico, può rimanere profondamente rimosso nell'individuo. Come abbiamo viste egli riesce ad adottare tutta una serie di meccanismi di difesa per tenere a bada la consapevolezza della colpa, fino al punto di ignorarla totalmente.
La colpa è maggiormente inquinante perché diretta verso la fonte della vita stessa ed è per questo che Antonio Mercurio sottolinea con tanto vigore la necessità che la persona faccia tutto un cammino che lo riporti in contatto col proprio odio rimosso.
Sostenuto dall'amore del proprio terapeuta (che diviene quasi una testimonianza della realtà dell'oggetto buono) e forte di una maggiore consapevolezza il paziente può affrontarlo e quindi decidere di assumerlo e ripararlo: ripararlo per amore di sé e dell'altro.
Ho parlato di decisione perché ritengo, con A. Mercurio; che la sola conoscenza dell'odio non possa portare ad un reale cambiamento. La coazione a ripetere e quindi l'istinto di morte, l'odio che è in noi verso noi stessi, ci impedisce di cambiare. È davvero una lotta terribile quella che un paziente in analisi sostiene, diviso tra Eros e Thanatos, tra la pulsione a vivere e la pulsione a morire. Non è difficile abbandonare i meccanismi di difesa e scoprire l'odio; è difficile riportare l'amore e l'odio dentro di sé, smantellando il primo fatale meccanismo di difesa che il neonato ha messo in atto, la deflessione all'esterno della vita e della morte. Riportando a sé la pulsione di vita e la pulsione di morte si è già fatto un bel passo in avanti; credo che si possa collocare in questo punto il passaggio dalla dimensione psichica a quella esistenziale. Ma il gioco non è finito; bisogna ancora decidere tra amore di sé e odio di sé in una lotta drammatica di cui non si può prevedere un vincitore e un vinto.
R. A. SPIZT - Il primo anno di vita – Armando Ed.
S. FREUD - Opere - Boringhieri
D. W. WINNICOTT - Dalla pediatria alla psicoanalisi – Martinelli
H.SEGAL - Introduzione all'opera di M.Klein - Martinelli
M. KLEIN - La psicoanalisi dei bambini - Martinelli
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